La grotta di San Lucano, storia o leggenda?

Dolomiti, un nome capace di evocare in ognuno sentimenti ed emozioni proprie, nome che evoca montagne, panorami da ammirare e sovente ricorda anche leggende ascoltate o lette. La morfologia del territorio costituito da profonde valli incassate fra le montagne, contigue ma non collegate fra di esse e lontane dai grossi centri abitati, ha contribuito alla nascita di molte leggende, prima tramandate oralmente e successivamente trascritte. Nonostante la modernità abbia ormai bussato alle porte anche dei luoghi oramai non più tanto remoti, queste continuano ad essere raccontate così come facevano i nostri avi. Una leggenda in particolare sarà la chiave di questo scritto inteso ad accompagnare gli escursionisti in un piccolo viaggio immutato nei secoli.
Siamo in provincia di Belluno, in Agordino precisamente. Poco dopo Agordo (capoluogo di vallata) sopraggiunge Taibon Agordino, non vi è interruzione fra i due comuni e all’apparenza sembrerebbero quasi un unico insieme. Lasciate alle spalle le ultime case del paese, alla destra orografica del torrente Cordevole si apre la stretta valle di San Lucano. Misura poco più di 600 metri da sponda a sponda ed è tagliata esattamente a metà dal corso del torrente Tegnàs. Il primo approccio è da capogiro mostrando subito la sua anima verticale: sul versante più in ombra è la parete dell’Agner a catturare lo sguardo con picchi e guglie spadroneggianti sopra le teste; all’opposto non sono da meno le spettacolari Pale di San Lucano, nell’ordine prima, seconda e terza, ci si sentirà piccoli al cospetto di queste pareti; a chiudere il cerchio sono le Pale dei Balconi, estremo sbarramento a nord ovest quasi a proteggere la testata della valle e il villaggio di Col di Prà. Questo piacevole borgo negli anni ha visto avvicendarsi alpinisti di fama mondiale accanto a nomi meno altisonanti, tutti uniti da un solo obiettivo: lo spigolo nord dell’Agner, 1600 metri di roccia che detiene il record di via alpinistica più lunga delle Dolomiti, accanto ad essa altre vie di tutto rispetto sono presenti in entrambi i versanti della valle. Noi però siamo giunti fin qua non in veste di alpinisti bensì di escursionisti alla ricerca di un approccio lento e silenzioso con queste montagne che promettono un vero distacco dal mondo. E così sarà, tant’è che in valle non arriva nemmeno il segnale della telefonia mobile, informazione indispensabile e primo monito affinché le escursioni in queste zone siano ben organizzate e consapevoli.

Scorci di Col di Prà | Taibon Agordino | Belluno

Lasciando per un momento in disparte lo zaino e gli scarponi un salto indietro nel tempo è d’obbligo e sarà più facile farlo cercando qualche persona ben disposta a raccontarci la leggenda di questa valle o cercandola fra le pagine di un libro. Una leggenda come le tante, tramandata oralmente nel vernacolo antico e trascritta per la prima volta nel 1512 dal notaio Pietro Paolo Diolay nel suo manoscritto “Historia, over legenda de Missier Santo Lugano” e riadattata con il passare dei secoli. Questi si riferisce in parte a fatti reali (storia) poi però aggiunge “ovvero leggenda”, sarà quindi cura del lettore scindere il vero dal fantastico.
Ci spostiamo nel V secolo d.C. a Sabiona, l’attuale Chiusa in Alto Adige. In quell’epoca vi era una gran disparità religiosa e tranne piccoli nuclei di proseliti cristiani formatisi nei paesi più grandi, per il resto paganesimo e fanatismo imperversavano nelle valli. In questo clima ostile un giovane sacerdote o comunque uomo di estrema fede cristiana, non è dato a sapere, iniziò la sua difficile opera di evangelizzazione. Il suo nome era Lucano, ovvero “portatore di luce”. Sicuramente fra le sue doti oltre ad una fede profonda e tenace vi era un gran carisma, sta di fatto che in breve riuscì a conquistare con i suoi insegnamenti buona parte della popolazione divenendo in seguito Vescovo della Diocesi. La conseguenza fu però di attirare l’attenzione anche di persone con propositi meno nobili, pronte a far pesare ogni suo piccolo errore.
A quei tempi la vita non era certo agiata, e in montagna era ancor più difficile. La popolazione viveva soprattutto dei prodotti della terra e dell’allevamento. Documenti storici testimoniano una tremenda carestia che colpì quelle zone fra il 423 e il 424. Le genti in breve si ritrovarono senza scorte di cibo. Il problema si ingigantì alle porte della quaresima, periodo nel quale era vietato dalla legge della Chiesa cibarsi di prodotti animali, latte, uova e carne macellata. Lo spettro della fame era alle porte se non fosse che il Vescovo Lucano, compresa la grave situazione diede licenza ai fedeli di cibarsi di questi prodotti. Decisione bene accolta dal popolo ma fortemente contrastata dagli astiosi che tramavano contro, i quali non persero l’occasione per segnalare direttamente a Papa Celestino I questa sua decisione che a loro modo di vedere andava contro la legge della Chiesa. In men che non si dica il Vescovo Lucano si dovette recare a Roma per conferire con il Papa. Partì sulla groppa di un cavallo. Durante il viaggio si fermò in una locanda dove compì i primi miracoli. Guarì infatti la moglie dell’oste che era da tempo malata e l’indomani, trovando al suo risveglio solo pochi resti del corpo del suo destriero sbranato nottetempo da un orso, ammaestrò l’indole selvatica dell’animale e proseguì il suo viaggio verso Roma sulla sua groppa seguito da uno stormo di pernici che voleva portare in dono.
Il suo ingresso in città fu anticipato da alcuni ambasciatori che annunciarono l’arrivo di un Santo portato a groppa da un orso. Fu il Papa stesso a mandarlo a cercare e lo accolse nella sua dimora. Il Vescovo Lucano si presentò a questi come un umile servo della Chiesa portando le pernici in dono. Stupì talmente il Papa che lo assolse e lo benedì ringraziando il cielo di aver avuto l’opportunità di conoscerlo, si narra che lo congedò dicendo:

“Vai, Lucano, tu sei più santo di me!”

Purtroppo nemmeno la benedizione del Papa riuscì a placare le persecuzioni e le ostilità a lui dirette. Colui che ora per i fedeli era visto come un Santo (in seguito riconosciuto santo dalla Chiesa Cattolica Romana) dovette fuggire da Sabiona per rifugiarsi inizialmente non troppo lontano, al confine attuale dell’Alto Adige con la Val di Fiemme, oggi passo di San Lugano. Ma ciò non bastò e anche qui trovò astio ed invidia. San Lucano affrontò così un viaggio attraverso le montagne per giungere in una valle dell’Agordino conosciuta come Val Bissèra per l’abbondante presenza di serpenti. Giacomo Mezzacasa nel suo libro “San Lucano, l’apostolo delle Dolomiti” scriveva: “…tra le mughe, i cespugli e i ciuffi d’erba, dicono che ci fosse una volta il segreto convegno delle serpi, delle biscie e delle vipere d’ogni schiatta e di ogni colore. Tutti i rettili della valle si erano annidati qui, ove ci batte il sole tanto d’estate che d’inverno…”, stava parlando proprio del versante più assolato della valle sul quale si ergono le Pale di San Lucano e successivamente anche la valle prese il suo nome.


Percorrendo la strada che conduce a Col di Prà una prima testimonianza storica sulla presenza di San Lucano in valle è la chiesa posta a metà via e a lui intitolata. Non ci sono notizie certe di quando venne posta la prima pietra, è sicuramente antecedente al 1512, anno in cui dagli archivi parrocchiali si sa avesse un custode fisso e fosse meta di pellegrinaggi. Travolta e gravemente danneggiata da una valanga nell’inverno fra il 1629 e il 1630 custodiva allora le reliquie di San Lucano e della Beata Vazza di cui farò accenno più avanti, queste scamparono al disastro. La chiesa fu riedificata nel 1635. Ma la storia di San Lucano in valle non si fermò solo in questa chiesa e nemmeno noi ci fermeremo qui. Proseguiamo il tragitto fin poco oltre Col di Prà dove la strada si interrompe e inizia una vecchia mulattiera forestale che si inerpica a tornanti nel bosco. Accompagnati dal gorgóglio del torrente Bordina lentamente risaliamo la valle, la tabella recita “Scorciatoia per Pont”. Seppur più ripida della strada questa via ci regala un viaggio nel passato: è un attimo ritrovarsi immersi in un ambiente arcaico fatto di muschio, alberi secolari e muri a secco conservati negli anni. Profumi di resina e sottobosco aleggiano nell’aria, un paradiso che deve aver conquistato anche San Lucano il quale percorreva questo tratto di bosco per raggiungere la grotta scelta quale dimora di preghiera in solitudine e lontano dall’invidia e perfidia degli uomini.


Più in alto ritroviamo la strada forestale, la assecondiamo mantenendoci sempre sulla destra orografica della valle ignorando a Pont il bivio che sale verso la baita di Malgonera e le vecchie malghe dei Doff e di Gardes. La segnaletica CAI indica invece Casera Campigat e questa sarà la direzione da seguire. Poche decine di metri prima di un ponte, la località è detta Pont della Pita, giungiamo all’inizio della parte più difficile della nostra escursione sulle orme di San Lucano. Questo sarà però anche il tratto più appagante, dove metro dopo metro la montagna si lascerà vincere solo con la forza delle gambe.
Un grande masso poco discosto reca la scritta e una freccia che indica la salita alla grotta. Il sentiero marcato con qualche sbiadito bollo rosso alterna tratti ripidi ad altri quasi pianeggianti che permettono di riprendere fiato. Alcuni settori caratterizzati da tronchi schiantati a causa di una recente tromba d’aria sono diventati un vero e proprio labirinto seppur la generosa opera dei volontari abbia liberato la via. Procediamo per circa un’ora raggiungendo prima una sorta di colle dove una evidente traccia in discesa per qualche metro permette di traversare proprio ai piedi delle rocce. Finalmente qui il sentiero esce dal bosco e si apre un grandioso panorama, lo sguardo percorre per intero la valle sottostante mentre il monte Agner e le Pale di San Lucano si oppongono ai due lati come gendarmi. Meglio però non lasciarsi conquistare troppo da questa vista, l’occhio deve essere vigile e il piede fermo perché questo traverso sarà la parte più impegnativa dell’itinerario.
Continuiamo fin sotto una parete grigia interrotta da un antro incorniciato dalla vegetazione, siamo arrivati al Cól di San Lucano. Lo si pronuncia con la “ó” chiusa come “corsa” ed è un termine che deriva dal gotico hol che significa proprio “caverna”, del resto anche il termine inglese hole sta a significare “buco, foro, apertura”.

Il sole sorge all’orizzonte e illumina la valle | Alba dalla grotta di San Lucano | Dolomiti

Prendendo in prestito le parole di Pietro Bon Rossetti, fra i primi a narrare la vita e le opere di San Lucano, nel 1754 descriveva così il luogo: “…in quel monte così sterile in cui la neve dura più della metà dell’anno e quasi sempre se ne vede, né produce il detto monte se non tribolazioni e spine; è cosa degna di compassione che un Vescovo sia stato in un luogo così crudo e così sassoso che le fiere stesse non possono durarvi se non per poco…”
La leggenda che si tramanda da secoli racconta di un San Lucano eremita in questa grotta, il quale pregava per la gran parte del giorno cibandosi prevalentemente di erbe e radici selvatiche. A volte qualche buon’anima si spingeva fin quassù portando del cibo a sostentamento del Santo divenuto famoso nella piccola comunità di Taibon e nell’intero Agordino. Quando fu vecchio e provato dalla sua condizione gli vennero in aiuto gli angeli concedendogli la presenza di una figura femminile, anima casta ed estremamente devota costretta a subire le angherie di marito e suocera, portava il nome di Vazza, oggi venerata come Beata Vazza. Ad ella fu concesso di ritirarsi in preghiera dapprima nella grotta con il Santo, e poi a metà valle, nel luogo dove oggi sorge la Chiesa di San Lucano, nel quale entrambi trovarono morte naturale.

Rappresentazione di San Lucano in groppa all’orso, la Beata Vazza e la  Madonna | Grotta di San Lucano

Il capitello sotto la volta della grotta di San Lucano | Taibon Agordino

Sotto il soffitto di roccia ci guardiamo attorno pensando alla recondita possibilità che un essere umano per quanto santo sia stato, abbia potuto vivere qui per un certo tempo. Eppure alle nostre spalle ben protetto dalle intemperie sorge un piccolo capitello bianco, al suo interno una rappresentazione di San Lucano con l’orso addomesticato e la beata Vazza al suo fianco. Se solo avevamo dei dubbi questa presenza, soprattutto per il luogo tanto curioso quanto remoto in cui fu edificato, rappresenta la chiara testimonianza di quanto sia forte e radicata nei valligiani la devozione al Santo. Volutamente ho usato il tempo corrente perché sfogliando un piccolo diario custodito nel capitello leggo in prima pagina. “Col di San Lugàn, 19 agosto 1989 – 80 persone hanno assistito alla S. Messa celebrata da Don Sergio”. Rimango attonito immaginando la processione di 80 persone fin quassù, ma capisco e apprezzo quanto possa essere forte una tradizione tramandata negli anni di padre in figlio. Sfogliando le altre pagine vi si leggono preghiere di intercessione o semplici inni alla bellezza del luogo.
Fatti storici e leggenda sono stati incrociati da più studiosi evidenziando incongruenze e similitudini con le saghe di santi vissuti in altre valli dolomitiche. San Lucano infatti, spesso associato all’appellativo di Apostolo delle Dolomiti è venerato in diverse località, da Bressanone a Belluno, da Auronzo di Cadore a Feltre, per citarne alcuni; anche nei Cadini di Misurina vi è una guglia che prende il suo nome, il Cadin di San Lucano.
L’escursione alla Grotta di San Lucano rappresenta un appagante itinerario adatto ad escursionisti esperti, molto bello dal punto di vista paesaggistico; essere a conoscenza della storia/leggenda del Santo ne arricchisce la visita.

Avvicinarsi in punta di piedi a questi luoghi è doveroso per poter godere appieno della loro essenza.

Bibliografia:

Giacomo Mezzacasa – San Lucano, l’apostolo delle Dolomiti, 1948

Pietro Bon Rossetti – Vita del glorioso San Lucano, 1754

Loris Serafini, Flavio Vizzuti – Le chiese della parrocchia dei Santi Cornelio e Cipriano di Taibon Agordino, 2015

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