Bosnia Erzegovina on the road con la Mazda CX-30: un viaggio tra storia, cultura e fotografia

Amo viaggiare, scoprire luoghi nuovi e, soprattutto, guidare. Con queste premesse, qualche mese fa ho iniziato a progettare un viaggio che fosse prima di tutto fotografico – la mia più grande passione – ma che mi permettesse anche di entrare in contatto con una cultura diversa, lontana dagli standard europei a cui siamo abituati.
Vivendo nel Nord-Est d’Italia, destinazioni come Austria, Germania o Slovenia sono davvero a portata di mano, ma spesso finiscono per assomigliare troppo ai paesaggi e alle atmosfere di casa. Stavolta cercavo qualcosa in più, e così ho iniziato a interessarmi alla Bosnia Erzegovina.
Spulciando Google Maps, forum di viaggiatori e gruppi Facebook dedicati, i primi “puntini” hanno iniziato a comparire sulla mia mappa. Ogni nuova meta aggiunta faceva crescere l’itinerario e l’entusiasmo. A rafforzare ancora di più questa scelta è stata una piccola immersione nella storia recente: podcast, testimonianze e racconti sulla guerra nei Balcani. Non volevo partire impreparato, soprattutto davanti a una terra che porta ancora addosso le cicatrici di quel conflitto.
Durante gli ascolti ho scoperto anche una coincidenza personale: il 9 novembre 1993, mentre io partivo per il servizio militare, a Mostar veniva distrutto lo Stari Most, il celebre ponte ottomano sulla Neretva. Al tempo non avevo piena consapevolezza di ciò che stava accadendo, e oggi, con qualche rimpianto, mi rendo conto di quanto poco ricordo di quella guerra. Questo è stato un motivo in più per intraprendere il viaggio.
Da casa mia, nelle Dolomiti, Mostar dista quasi 850 chilometri: una vera passeggiata per la mia Mazda CX-30.
Mostar sarebbe stata la seconda tappa, perché la prima meta designata era Počitelj, un piccolo villaggio ottomano miracolosamente sopravvissuto ai bombardamenti, a circa 40 chilometri più a sud.
Avevo solo quattro giorni liberi per questa “toccata e fuga” in terra balcanica, quindi le scelte andavano ponderate. Oltre a Mostar, non potevo certo rinunciare a Sarajevo, una città che merita molto più di una visita fugace. Un’altra meta che mi affascinava particolarmente era Lukomir, un remoto villaggio di pastori tra le montagne nei dintorni della capitale. L’unico dubbio era la strada: chilometri di sterrato per arrivarci… ce l’avrebbe fatta la CX-30 (versione 2.0 150 cv Exclusive Line + design pack) ?
Il piano prevedeva poi di risalire lentamente verso nord, attraversare la Croazia, rientrare in Slovenia e infine tornare a casa.
La partenza è fissata: ore 3:00. Carico il bagagliaio della Mazda con tre piccole valigie – viaggio con mia sorella e mio nipote – più tutta l’attrezzatura fotografica, il treppiede, il drone e una scorta d’acqua. Azzero il contachilometri parziale e la media consumi, e via: si parte.

Nella guida notturna, i fari Matrix della CX-30 si rivelano un alleato prezioso. Illuminano la strada con precisione, senza mai abbagliare gli altri, rendendo la guida piacevole e sicura anche nel cuore della notte. È il primo assaggio di un viaggio che si preannuncia speciale, tra curve di montagna, strade sconosciute e scenari che non vedo l’ora di fotografare.
Verso Mostar: tra viadotti, montagne e confini
La strada fino alla Bosnia la conosco ormai a memoria: amo spingermi verso est più volte l’anno. A27, A28, Trieste, Basovizza per entrare in Slovenia. Poi circa cinquanta minuti tra boschi e paesini immersi nel verde collinare fino al confine croato, e da lì giù verso Rijeka – o Fiume, se vogliamo evocare il nome storico di quando l’Italia arrivava fin qui.
L’autostrada corre tra viadotti e gallerie, attraversando le montagne come un filo d’acciaio. La più lunga è il tunnel Sveti Rok, quasi sei chilometri sotto le vette del Velebit. Scendendo verso Maslenica la strada sembra un’attrazione da montagne russe: dai monti al mare in pochi istanti. Prima di attraversare il celebre ponte, sosta carburante all’area di servizio di Jasenice. Sono già 550 i chilometri percorsi, mantenendo una media piuttosto alta grazie al traffico inesistente della notte: i 130 km/h sono stati praticamente costanti, la disattivazione di due cilindri è servita per diminuire il consumo e in questi lunghi tratti ha sempre funzionato alla perfezione.
Non faccio il pieno: in Croazia la benzina è a 1,40 €/l, ma so che in Bosnia Erzegovina costa ancora meno. Meglio ottimizzare. Ripartiamo: man mano che la distanza si accorcia e la prima meta si avvicina, cresce l’adrenalina. Nonostante la sveglia nel cuore della notte, la voglia di arrivare prevale e cancella la stanchezza.

L’ingresso in Bosnia
Finalmente la frontiera. Qualche anno fa l’accesso era una piccola dogana con sbarra manuale, oggi invece tutto avviene comodamente in autostrada, alla frontiera di Bijača. È una delle più veloci: in mezz’ora siamo dall’altra parte. Ricordo che altrove le attese possono superare anche le due ore.
Prima tappa in Bosnia: stazione di servizio, pieno di carburante e via. Qui la benzina costa 2 marchi e 30, circa 1,21 €/l: un piacere rispetto ai prezzi italiani. Aggiungo anche una SIM locale per turisti: con 3 euro ho 4 GB validi 7 giorni, perfetti per avere internet in caso di emergenza. Avevo già scaricato le mappe offline di Google Maps, quindi navigazione assicurata anche senza copertura.

Počitelj: il villaggio ottomano


La prima vera sosta è Počitelj, piccolo gioiello ottomano incastonato sulla collina. Come lo avevo immaginato dalle descrizioni: torri in pietra, vicoli stretti, moschee. Purtroppo anche con qualche ombra: sporcizia qua e là, lavori iniziati e mai terminati. È una delle contraddizioni che mi accompagneranno in tutto il viaggio: strutture incompiute, progetti lasciati a metà. Non so se sia l’eredità della guerra, conseguenze di scelte azzardate nel dopoguerra o semplicemente la difficoltà di gestire un turismo che cresce più velocemente delle infrastrutture.

Mostar: magia d’Oriente nei Balcani


Pochi chilometri più a nord ed eccoci a Mostar, la nostra base per la notte. Avevo prenotato un hotel in centro, con parcheggio privato davanti all’ingresso: la soluzione ideale per lasciare la CX-30 al sicuro senza muoverla fino al giorno seguente.


Mostar è magica. Orientale e balcanica allo stesso tempo, impregnata di storia e tradizioni. I minareti che puntano al cielo, i negozi artigianali, le donne velate, le turiste arabe con il niqāb nero, la voce del muezzin che risuona tra le colline, i ristoranti che offrono piatti dai nomi impronunciabili ma dai sapori autentici. È un luogo che affascina e spiazza, un ponte tra mondi diversi, nel senso più profondo.

La strada per Sarajevo
Il giorno seguente ripartiamo in direzione Sarajevo. La distanza non è molta, ma la strada che segue la valle della Neretva fino a Konjic è lenta e tortuosa: curve, controcurve, salite. Tutto il traffico – auto, bus, camion – passa di qui. Se ti capita davanti un mezzo pesante non hai molte occasioni di sorpasso.
Scopro che i bosniaci hanno uno stile di guida sorprendentemente rilassato: niente sorpassi azzardati, niente colpi di clacson, rispetto dei limiti anche nei tratti a 40 km/h. Mi adeguo volentieri a questo ritmo. Per fortuna, nelle salite più impegnative la strada si allarga a due corsie e i camion possono essere superati senza rischi. Ne incontriamo uno in panne, ma riusciamo a evitarlo senza restare bloccati.

Sarajevo: emozione pura
Entrare a Sarajevo è un momento forte. Forse il carico di letture fatte i mesi scorsi sulla guerra in Bosnia, forse i film visti, fra cui “Benvenuti a Sarajevo”e “L’angelo di Sarajevo”, forse l’immaginazione che correva nei giorni di preparazione… ma quando percorro la Ulica Zmaja od Bosne, la famigerata Sniper Alley, mi si stringe la gola. Gli occhi diventano lucidi e immagino la gente che corre e le auto che sfidavano a tutta belocità quel viale per non essere colpite dai cecchini appostati sui palazzi, uno scenario che mi rattrista. Ma il traffico caotico della città mi costringe a tornare subito al presente.


Parcheggio in un multipiano vicino al centro: pochi euro per la certezza di lasciare la CX-30 al sicuro e all’ombra. Fuori superiamo i 30 gradi e so che ritrovarla fresca sarà un piccolo lusso.
Visitiamo la Baščaršija, il cuore turco della città: un dedalo di vicoli, bazar, ristoranti. Un’esplosione di aromi, colori, folklore. Qui culture diverse si incontrano e convivono, creando un’atmosfera unica. Prima di ripartire, è d’obbligo un caffè bosniaco, servito con calma e ritualità.

L’avventura di Lukomir
Poi arriva il momento della deviazione più attesa: la salita verso Lukomir, il villaggio più remoto della Bosnia. La sera prima ero ancora pieno di dubbi: la strada sterrata sarà adatta alla mia CX-30? Il gestore della guesthouse mi aveva scritto raccomandandomi il percorso da seguire e avvisandomi di evitare le altre vie d’accesso, troppo pericolose.
Gli rispondo spiegando che non ho un 4×4, solo un crossover leggermente rialzato. Mi rassicura con una foto: un turista inglese era arrivato fino a Lukomir con una Mazda MX-5 cabrio. “This guy managed to reach so I’m not afraid for you 🙂”.


Lo definirei un pazzo ma è comunque una Mazda, sarà una coincidenza?

La foto mi rincuora.

Verso Lukomir: sul tetto del mondo
Lasciamo Sarajevo alle spalle e la strada inizia a inerpicarsi sulle colline. Poi boschi, stradine strette e una miriade di curve. Superiamo Babin Do, località sciistica che ospitò alcune gare delle Olimpiadi Invernali del 1984. Quante cose sono cambiate da allora, quante storie ha vissuto questa terra.
Scendiamo dall’altro versante e arriva la deviazione che aspettavo da giorni. La salita si fa subito ripida ma ancora asfaltata, conduce a un villaggio incantevole e remoto: un minareto svetta tra le case, poco distante il cimitero musulmano con le sue lapidi bianche tutte uguali. È un’immagine forte, sospesa nel tempo.


Poco più avanti l’asfalto finisce all’improvviso, dietro un dosso: inizia lo sterrato. Cara CX-30, ora tocca a te.

Io ci metto la guida, tu cerca di comportarti bene!

Sono abituato a guidare su sterrato, ma di solito con mezzi più pesanti, non con un’auto quasi nuova, poco oltre i 10.000 km. Siamo anche in ritardo: il sole sta calando e la strada – anche vista sulla mappa -sembra infinita.


Il fondo è impegnativo: rocce, sassi affioranti, tratti scavati dall’acqua piovana. Serve attenzione, anticipo e delicatezza. Intanto la polvere si solleva e si attacca ai vetri. Incrociamo altre auto: turisti che scendono, oppure locali che sfrecciano a bordo delle onnipresenti Golf e Jetta vecchie ma supercollaudate, spesso modificate con sospensioni rialzate. Inarrestabili.
Attraversiamo l’altopiano della Bjelašnica, tra cavalli al pascolo, mucche e persino un paio di camper tedeschi. Ci fermiamo davanti a un gregge di pecore: i pastori le riportano al villaggio, come fanno da secoli.

L’allevamento è ancora oggi l’attività principale, mentre il turismo è recente, frutto di qualche intuizione giovane.

Io arrivo qui da viaggiatore e fotografo, consapevole che questi racconti contribuiscono a far conoscere il luogo. Spero però che Lukomir resti genuino, lontano dal turismo di massa. La sua posizione remota, in fondo, potrebbe essere la sua migliore protezione.

Lukomir: il villaggio sospeso nel tempo
A quota 1.500 metri, a 110 km da Sarajevo e dopo 12 km di sterrato, appare finalmente Lukomir. Poche case di pietra con tetti di lamiera, qualcuna rimodernata, altre rimaste come un tempo. Fino al 2014 era abitato anche d’inverno, oggi solo nella bella stagione, quando i pastori e chi gestisce le piccole strutture turistiche torna quassù per la bella stagione.
Il nostro alloggio si chiama “Na krovu svijeta” – che tradotto significa “sul tetto del mondo”. Un nome che mantiene la promessa: spartano ma accogliente, autentico. Lo stesso proprietario gestisce con suo padre il piccolo ristorante, dove ci serve la cena a base di carne di pecora e patate. Immancabile il dolce balcanico per eccellenza, la baklava, e – visto che non guiderò più fino al mattino – un bicchierino di rakija, da gustare lentamente.
Alle 22 cala il silenzio: le luci si spengono e il cielo si apre in uno spettacolo che non vedevo da tempo. Vivo nelle Dolomiti e conosco luoghi dal cielo limpido, ma qui è diverso: la Via Lattea si staglia chiarissima a occhio nudo. Non resisto alla tentazione: posiziono il treppiede e fotografo la CX-30 sotto la scia luminosa della galassia. Un’immagine che vale da sola il viaggio.

Alba sul tetto del mondo
Il freddo della notte è pungente: i 30 gradi di Sarajevo sembrano lontanissimi. Ma alle 5:30 la sveglia suona: non posso perdermi l’alba. Salgo su una piccola collina poco distante e assisto allo spettacolo del sole che illumina il villaggio e le montagne. È un momento di pura magia.


Poi il villaggio si risveglia: i pastori radunano le greggi e ripetono il rituale quotidiano, scendendo verso i pascoli. È come un salto indietro nel tempo, un’immagine che difficilmente dimenticherò.
La colazione è semplice e genuina: uštipci cioè piccole ciambelle fritte servite con marmellata o formaggio. Io scelgo il formaggio di pecora, dal gusto intenso, forse troppo per l’inizio di giornata. Meglio la marmellata di ribes, più delicata, scelta dai miei compagni.
Dopo un ultimo caffè bosniaco salutiamo Lukomir e iniziamo la discesa. Questa volta guido con più calma, conosco il percorso e mi concedo qualche sosta per fotografare la CX-30 immersa nella polvere e nei paesaggi da cartolina. Il drone la insegue dall’alto, tra nuvole di sabbia e rocce. È irriconoscibile, coperta di polvere da cima a fondo. Ma fa parte del gioco: è la testimonianza tangibile di un’avventura vera.


Il rientro: tra deviazioni, canyon e nuovi orizzonti
Soddisfatto, raggiungo finalmente la strada asfaltata dopo la discesa da Lukomir. Ma ecco la sorpresa: la via per Sarajevo è chiusa fino alle 15:00 per lavori. Non si passa. Restano due alternative: uno sterrato di cui ignoro le condizioni oppure una lunga deviazione asfaltata che aggira la montagna. Scelgo l’asfalto, anche se poi scoprirò che il giro è lunghissimo. Mi rimane il rammarico di non aver tentato lo sterrato, che mi avrebbe permesso di mettere ancora più alla prova la CX-30 in off-road e di risparmiare un paio d’ore.
La deviazione, però, non è priva di sorprese. La strada attraversa un paesaggio quasi lunare: un passo di montagna brullo, selvaggio, solitario, che sembra appartenere a un altro pianeta. Ogni curva regala panorami nuovi e mozzafiato. Poi inizia la discesa, seguendo un canyon profondo e spettacolare, tra tornanti e saliscendi che paiono infiniti.
Finalmente raggiungiamo Konjic e non resisto al richiamo di un lavaggio self service.

Facciamo un veloce ritorno a Sarajevo: qualche acquisto da portare in Italia e via, senza perdere troppo tempo tra le montagne. La giornata prosegue con un lungo trasferimento verso Travnik, dove arriviamo ormai al buio. Ancora una volta, i fari Matrix della CX-30 si dimostrano insostituibili: illuminano con precisione strade sconosciute e strette, rendendo la guida sicura e rilassata anche in piena notte.

Travnik, Jajce e l’ultimo tratto
La mattina successiva cerco di visitare la moschea di Alaca, una delle più belle e decorate della Bosnia, ma con rammarico scopro che aprirà solo nel pomeriggio. Non posso aspettare: il viaggio di rientro è ancora lungo. Ripartiamo dunque, fermandoci a Jajce per un’ultima foto veloce alla famosa cascata, uno degli spot più iconici del Paese.
Poi ancora strade statali, questa volta verso nord-ovest, direzione Bihać. Per la prima volta entriamo nel territorio della Republika Srpska, l’entità serba di Bosnia che, insieme alla Federazione e all’Erzegovina, compone lo Stato.

Qui noto subito una differenza: i cartelli stradali. In gran parte della Bosnia sono bilingue, ma qui prevale il cirillico; alcuni addirittura riportano solo quell’alfabeto. È un piccolo dettaglio, ma racconta molto della complessità di questo Paese.
Attraversiamo Bihać velocemente – peccato non avere più tempo – e puntiamo alla frontiera di Izačić, sperando sia poco trafficata. Così è: in meno di un’ora siamo in Croazia e da lì ci aspettano ancora cinque ore di guida fino alle Dolomiti, casa.

Bilancio del viaggio
Il viaggio è stato lungo, intenso, a tratti faticoso, ma ricco di emozioni. Paesaggi straordinari, villaggi sospesi nel tempo, città cariche di storia e ferite recenti, ma anche di energia e rinascita. La Bosnia Erzegovina merita davvero di essere visitata: è uno di quei Paesi dove si respira ancora un pizzico di avventura, quello che altrove, forse, si è perso.
La Mazda CX-30 si è confermata una compagna di viaggio eccezionale: comoda, silenziosa, piacevole da guidare anche dopo ore e ore di strada. Gli ADAS hanno fatto la differenza nei tratti più impegnativi e i fari Matrix sono stati più volte la mia salvezza. A fine viaggio il contachilometri segna quasi 2.000 km percorsi, con una media di 6,6 l/100 km: più che soddisfacente, considerando autostrade, salite, sterrati e deviazioni.


Ora un po’ di riposo, perché questi quattro giorni nei Balcani sono stati tutto fuorché rilassanti – com’era prevedibile. Ma se potessi, ripartirei subito.

Testo e immagini sono di proprietà dell’autore | E’ espressamente vietato ogni utilizzo non autorizzato ai sensi della legge n. 633 del 22 aprile 1941 a protezione del diritto d’autore | Alcune immagini sono disponibili su licenza nel mio portfolio presso l’agenzia Mauritius Images